mercoledì 5 gennaio 2011

Accendi la tv, spegni il cervello


Tutto ha inizio con un annuncio sui quotidiani per reclutare 80 concorrenti e farli partecipare ad un non meglio precisato quiz televisivo. Rispondono in 13000, ne vengono selezionati 2500 dalla produzione.
Tra questi , solo 80 fortunati partecipano al colloquio con gli organizzatori in veste di concorrenti.
Al colloquio si presentano uno alla volta e la produzione spiega loro le regole del gioco, la vincita possibile.
Nell’ufficio degli organizzatori sono seduti sempre in tre: il produttore che spiega lo svolgimento del gioco, uno degli 80 concorrenti e un altro finto concorrente d’accordo con la produzione.
I veri concorrenti non sanno che lui è d’accordo con gli organizzatori, non sanno che non parteciperà attivamente al gioco. E che a loro insaputa, si alzerà dalla sedia elettrica allestita nello studio, mentre loro parteciperanno al gioco, gli faranno le domande, e lo puniranno quando sbaglierà.

Sanno invece che sarà lui a dover memorizzare in 1 minuto una serie di 27 combinazioni di parole (es. “cielo-azzurro” oppure “erba-secca” oppure “ragazza-magra”) e a doverle ripeterle esattamente ogni volta che gli chiederanno di farlo, a turno.
Pena: una scossa elettrica (vera..) di 20 VOLTS superiore alla precedente ad ogni errore.
Vince il concorrente che riuscirà a portare il malcapitato alla fine delle 27 serie di parole.  
Insomma, il concorrente di turno chiede: “cielo- ??? ” e l’altro , sempre lo stesso, dovrà accomunarlo alla parola che dovrebbe aver memorizzato in quel minuto avuto a disposizione (ovvero “azzurro”).
Se sbaglierà, subirà una scarica elettrica, ogni volta di 20 VOLTS superiore alla precedente.
Lo scopo de “La Zona Estrema”, reality francese portato in Italia (Giovedì, 8 Luglio, La7, 21:10 e presentato prima durante “In Onda”, con L. Costamagna e L. Telese), è quello di dimostrare che la televisione ha assunto ormai la forza ineluttabile di un’autorità qualunque.
Bisogna obbedirle perchè negli anni si è saputa imporre nella nostra quotidianità, col suo fare imperiale e imperioso. Spargendo precetti di vita, di comportamento, decaloghi del buon vivere e imponendoceli, dopo essere riuscita ad accreditarsi ai nostri occhi come affidabile, non discutibile, rassicurante.
Cosa può quindi un individuo solo, contro di essa? Nulla, se non prostrarsi e obbedire.
Soprattutto se si trova all’interno di un magico studio televisivo che trasmette null’altro che soggezione, con un furente pubblico alle spalle prontissimo ad accanirsi su di te se oserai andare contro l’atmosfera comune che respirano tutti, pronto ad incensarti, rendendoti omaggio per aver risposto in modo da rafforzare il patrimonio comune delle loro certezze. Eppure qualche temerario c’è stato.
Qualcuno che all’ennesimo urlo disperato del concorrente interno alla produzione (seppur finto, perché preregistrato) che sbagliava la parolina richiesta e subiva una scarica, ha osato reagire chiedendo di smetterla, che così si finiva per fargli del male. Qualcuno c’è stato.
Ma all’apposita conduttrice imbeccata dalla produzione, è bastato dire: “Non si preoccupi per lui, non possiamo fermarci ora”, che immediatamente il concorrente si sentiva autorizzato  e rassicurato, pronto ad infliggere l’inevitabile punizione. Boia per caso, ma contento di esserlo.
Pur di vincere il premio e terminare la serie di 27 parole, è stato dimostrato che il 30% degli 80 concorrenti aveva inferto la scarica mortale al concorrente sbadato, che non ricordava e per questo andava punito.
Interrogati, i concorrenti hanno quasi tutti ammesso di non essersi sentiti più loro stessi una volta entrati nello studio, immersi in quell’atmosfera che chiedeva solo di essere assecondata, caricati dal pubblico e dall’ambiente di uno stress difficilmente sopportabile.
Perciò hanno ceduto, hanno consapevolmente inferto la punizione estrema, senza riuscire a trovare il coraggio di opporsi alla conduttrice, al pubblico, alla produzione, per rompere un’atmosfera più forte di loro.  Quasi per inerzia, o ignavia.
Avrebbero ucciso un uomo soltanto per obbedire all’autorità che glielo ordinava, se solo tutto fosse stato maledettamente vero. Purtroppo la verità è che un uomo contro un’autorità è solo, vulnerabile, debole e spesso perde anche il coraggio delle sue azioni.
Questo non per scagionare quella trentina di concorrenti che avrebbero ucciso un loro simile, ma solo per avvertire della forza di uno strumento caricato di troppi significati, di troppa importanza.
Probabilmente più di quanta ne abbia. Certamente più di quanta debba essergli giustamente conferita.

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