giovedì 11 settembre 2008

Saldi di fine estate


Oggi giovedi 11 settembre scade l’ultimatum del Governo ai sindacati per accettare il piano di salvataggio di Alitalia in merito all’offerta presentata dai 16 imprenditori italiani uniti sotto la sigla C.A.I. (Compagnia Aeroportuale Italiana).
Si sa già che il Governo e i magnifici 16 possono fare a meno dell’accordo e proseguire nell’attuazione del piano congiunto per rilevare la vecchia Alitalia.
Il piano denominato Fenice (dal nome del mitico animale dell’antichità che una volta morto era capace di resuscitare dalle proprie ceneri ripetendo il meccanismo all’infinito) prevede la suddivisione della vecchia compagnia in due società: la Bad Company, brutta, sudicia, fallita e piena di debiti e la Good Company, affascinante, scattante, conveniente e a prezzo di saldo.
Naturalmente la Good Company è pronta ed impacchettata destinata ai 16 valorosi salvatori della Patria mentre la Bad Company è già sul groppone dello Stato assieme ai suoi debiti regressi derivanti dalla vecchia Alitalia. Questo processo di divisione della vecchia compagnia attesta la socializzazione delle perdite (addebitati nella loro totalità allo Stato) e la privatizzazione dei profitti (accreditati fin d’ora alla nuova C.A.I.).
Qui sorge un dubbio: ma non era questo il Governo della decentralizzazione di potere dallo Stato verso regioni e sindaci (federalismo)? Eppure questo è sempre lo stesso Governo, che fa dell’interventismo dello Stato e dell’assistenzialismo verso aziende private il suo modus operandi.
Questo è quanto ci troviamo ora di fronte e la causa principale è un vezzo tanto elettorale quanto propagandistico: Berlusconi in persona in campagna elettorale, pur di non avallare la proposta del precedente Governo di accettare l’offerta di Air France, profetizzò la discesa in campo di una cordata tutta italiana pronta a salvare l’Alitalia. Ora, a distanza di due-tre mesi si è trovato a dover mantenere la promessa e pur di riuscire nell’intento ha stravolto le regole di mercato infischiandosene, inoltre, dei lavoratori in esubero che nel frattempo nel nuovo piano industriale sono cresciuti di numero.
Dicevo di Air France-KLM, il colosso franco-europeo del trasporto aereo che a marzo presentò un piano industriale ben diverso da quello dei nuovi furbetti del quartierino. Ebbene bastava mettere da parte gli interessi di cui sopra per salvare molti più lavoratori (adesso si parla di 7000 esuberi a fronte dei 2500 di Air France-KLM) , garantire più collegamenti europei e mondiali per i passeggeri italiani e prezzi di gran lunga minori degli attuali, vista la dimensione internazionale dei nuovi proprietari.
Al contrario è stata fatta saltare la trattativa (dopo vari ultimatum posti da Air France e rimandati solo per i litigi tra il vecchio governo Prodi e l’allora opposizione ) per poi riuscire a dire in questi giorni che “…Air-France è scappata ritirando l’offerta…”.
Adesso pur di mantenere le promesse elettorali e far fronte alla disperata situazione di una azienda ormai fallita, sopravvissuta fino a settembre solo grazie al prestito-ponte di 300 milioni gentilmente elargito dalle casse pubbliche dello Stato, sono state bloccate temporaneamente le leggi di mercato (come si può leggere nel bando di vendita della compagnia) per favorire la discesa in campo dei 16 imprenditori, con a capo Colaninno senior.
Proprio Colaninno è la parola chiave per determinare il ruolo dell’opposizione del PD in questa vicenda.
Il paradosso ha voluto che uno dei tanti conflitti d’interesse alla base di questo accordo (ricordiamo che Corrado Passera, presidente di Intesa San Paolo, banca-advisor che ha gestito la vendita di Alitalia dallo Stato alla C.A.I. è allo stesso tempo membro dei 16 acquirenti!!) coinvolgesse proprio Colaninno padre e figlio perché quest’ultimo nelle vesti di Ministro dello Sviluppo Economico del governo ombra del PD, sarebbe l’incaricato a criticare il piano industriale del padre e dei suoi colleghi o quantomeno, ad avanzare proposte alternative. L’imbarazzo della situazione è palese e non necessita ulteriori spiegazioni.
Ad un’opposizione con le mani legate aggiungeteci un’informazione di regime che non sa fare altro che propagandare le decisioni del Governo “del fare”, e il Cocktail Alitalia è servito. Bevete pure.

mercoledì 10 settembre 2008

Liberateci tutti


Alla fine dell'estate rischia di scoppiare un nuovo caso relativo alle carceri sovraffollate. Nel 2006 l'emergenza arrivò in piena estate e si decise di porre rimedio attraverso l'indulto, il più grande errore del governo Prodi. Trattasi di grande errore perché a due anni di distanza la quasi totalità dei detenuti liberati si è macchiata di nuovo di reati ed è tornata in cella. Con un doppio risvolto: i cittadini hanno provato sulla loro pelle la maggiore insicurezza derivante dal provvedimento in questione e come conferma della sua inutilità, l'indulto ha restituito alle carceri quasi lo stesso numero di detenuti.
Le carceri sono sovraffollate? Certo, ci sono troppi detenuti...
E’ la risposta che danno molti esponenti politici senza mai chiedersi però, la cosa più ovvia: sarà mica il caso di costruire nuove carceri?
I detenuti semmai sono sempre il giusto e anzi, in un paese come il nostro dove la giustizia non funziona e si fa di tutto per sfasciarla, i detenuti sono pochi in rapporto a chi delinque e non viene preso.
Un dato su tutti: Inghilterra ed Italia hanno lo stesso numero di detenuti (60.000), ma in Inghilterra per arrestare 60.000 persone sono stati celebrati solo trecentomila (300.000) processi mentre in Italia per arrestare lo stesso numero di delinquenti si sono dovuti celebrare tre milioni (3.000.000) di processi. Dieci volte gli inglesi! Quindi il problema semmai è che le leggi non funzionano e quando lo fanno, invece di pensare a creare nuove carceri per accogliere nuovi delinquenti, si cerca di liberare i posti in quelle che esistono già.
Un problema potrebbe essere la mancanza di fondi per l’edilizia penitenziaria; intoppo che si potrebbe arginare riutilizzando le vecchie e note carceri dell’Asinara e di Pianosa. Carceri note per l’istituzione al loro interno del regime del 41 BIS, così mal sopportato dai boss di Cosa Nostra che lo Stato si affrettò a chiudere i suddetti penitenziari. Atro rimedio potrebbe essere quello di ripristinare l’uso di vecchie caserme dismesse assieme a grossi complessi industriali che necessitano solo di opere di adattamento e ristrutturazione.
In attesa di sviluppi, in molti auspicano la discesa in campo del Ministro della Giustizia Alfano, sempre pronto a scrivere un nuovo Lodo per l’occasione, e pronto a liberare questi poveri incolpevoli detenuti dalle grinfie dei magistrati, altrimenti noti come “metastasi della Giustizia”.
Per ora il Luminare della Giustizia, a distanza di due anni dall’indulto ha trovato la soluzione all'annoso problema del sovraffollamento: ha infatti proposto l'espulsione dalle carceri dei detenuti extracomunitari (circa 3.000) e l'istituzione del braccialetto di controllo per 4.100 detenuti "nostrani".
Riguardo al primo provvedimento bisognerebbe chiedere al Ministro come fare a dare un’ identità sicura e come fare a ricondurre precisamente al loro paese gente che non ha mai fornito dati anagrafici certi e dati sulla propria provenienza da un paese anziché da un altro. Inoltre bisognerebbe chiedere al Ministro come fare per obbligare il paese di origine prescelto (dallo Stato italiano) del detenuto extracomunitario a riaccogliere nelle proprie carceri una persona dalle non note generalità ma soprattutto, dalla non nota provenienza.
Riguardo al secondo provvedimento relativo all’ istituzione del braccialetto obbligatorio per far scontare la pena agli arresti domiciliari ai detenuti “nostrani”, bisognerebbe ricordare il precedente del 2002 al Ministro Alfano. Nel 2002 il suo illustre predecessore Castelli testò il braccialetto con 400 detenuti provocando un esborso per le casse dello Stato pari a undici milioni di euro (11!!).
Bilancio finale dell’esperienza: il braccialetto fu testato solo su 4 detenuti (dicasi 4!!) perché funzionava così bene che bastava tagliare il cinturino e scappare di casa. Oppure bastava scendere in garage allontanandosi dalla centralina collegata telefonicamente con la stazione dei Carabinieri, per causare la perdita del segnale di reperibilità e provocare l’arrivo delle forze dell’ordine allarmate dalla mancanza di segnale e quindi, dalla possibile fuga del detenuto. Perciò il problema del braccialetto sarebbe duplice: problema di costi e di malfunzionamento.
Concludendo penso che si dovrebbe risolvere il problema per sempre o perlomeno, per un lungo lasso di tempo, costruendo nuove carceri allontanando lo spettro di continue emergenze.
Anche se ciò causerebbe un esborso oneroso di denaro pubblico, per una volta sarebbero soldi ben spesi in grado di dare davvero più sicurezza alla gente non soltanto nell’immediato ma soprattutto per il futuro.