mercoledì 24 giugno 2009

Lavoro senza patria


Secondo l’Istat i bisogni dell’italiano medio rispondono a due necessità (tenere per una squadra di calcio non è compreso nel conteggio, anche se spinge a spendere cifre considerevoli): avere un posto di lavoro, possibilmente a tempo indeterminato e possedere una casa di proprietà, che nella stragrande maggioranza dei casi significa venti/trenta anni di mutuo.
Inoltre l’italiano medio nell’ ottanta % dei casi dichiara di guadagnare meno di ventimila € all’anno.
Ma quando arriva l’odiato extra-comunitario (o il vituperato rumeno, per giunta regolare cittadino U.E.) le cose si complicano e non poco. Questo perché lo straniero si accontenta anche solo della metà dei soldi che pretende l’italiano autoctono (peraltro giustamente dato il diverso costo della vita). La difficile congiuntura economica poi, aggrava ulteriormente le difficoltà del datore di lavoro che si trova a dover scegliere tra un’ unità lavorativa che gli costa ventimila euro/anno e un’ altra che costa circa la metà. 

Evidentemente è portato da questa serie di eventi, che peraltro sembra subire, a licenziare italiani ed assumere stranieri oppure a chiudere stabilimenti in Italia, per delocalizzare i centri di produzione direttamente lì dove i costi sono di molto contenuti, all’estero.
Sorge spontanea dunque la domanda sulla necessità o meno di accogliere nuove “leve” dall’estero, se il mercato del lavoro italiano oggi sembra già saturo. Ci si interroga anche su chi debba avere la priorità nella scelta di un lavoratore sul territorio nazionale, cioè se assegnare il lavoro ad un cittadino nostrano oppure straniero.
Come era facilmente pronosticabile su queste domande ci campa una forza politica, che sull’intolleranza del “diverso”, di chi “viene a dettar legge in casa nostra”, “di chi viene a rubare il lavoro ai nostri figli” e sulla presunta necessità di chiudere frontiere e respingere barconi, costruisce un consenso popolare non inferiore al 10 %.
Dare al popolo ciò che il popolo chiede, solleticare paure e mostrare muscoli dentro un salotto televisivo contro chi non ha voce per difendersi, garantisce un congruo numero di seggi in Parlamento accompagnati da stipendi mensilmente erogati da Roma ladrona e assicurati dai contributi dei quattro milioni di lavoratori immigrati regolari, seppur malsopportati.
E pazienza se siamo solo uno staterello dei ventisette di un’ unica grande comunità, con regole comuni a tutti: l’Unione Europea. Pazienza anche se il libero circolo dei lavoratori all’interno dell’Unione è garantito da leggi ben precise e non si può fermare. Pazienza se si invoca incautamente la chiusura di frontiere nazionali che neanche più esistono, quando ci si trova dentro una comunità ben più grande. Pazienza se affidiamo i nostri anziani alla badante rumena e polacca, la paghiamo in nero e poi usiamo due pesi e due misure quando un italiano e uno straniero compiono uno stupro, o uno scippo. Ci vuole pazienza perché il tempo è galantuomo e l’inconsistenza delle proposte di qualche senatore un po’ alticcio sebbene lautamente remunerato, viene alla luce.
Perché la sostanza resta la stessa fin quando due lavoratori di diversa nazionalità, ma appartenenti entrambi regolarmente all’ U.E., non avranno gli stessi diritti e non gli verrà riconosciuto lo stesso stipendio.
Insomma la soluzione è unire le forze dei lavoratori sotto le uniche insegne del diritto al lavoro.
Stessi diritti, stessi salari, dentro l’Unione Europea. Stipendi legati alle mansioni da ricoprire, alle qualifiche messe in campo e non alla voce “Cittadinanza” impressa sul documento d’identità. Perché farsi la guerra tra poveri agevola solo chi ha tutto l’interesse a trattare con più parti indebolite numericamente e facilmente assoggettabili. Ma soprattutto, non aiuta ad allontanare un confitto sociale evidente, che sicuramente non si risolve chiudendo le frontiere, usando gli stranieri come oggetto di scherno e strumento politico, oppure bollando come buoniste posizioni in linea col diritto europeo, ancorchè impopolari.
Se infatti un italiano ha difficoltà a vivere nel suo Paese con lo stipendio medio attuale, si immagini un rumeno che vive in Italia cosa potrà mai combinare con la metà circa. Probabilmente entrambi “non potranno permettersi di acquistare neanche ciò che producono con le loro mani, giorno dopo giorno”, come diceva Henry Ford.


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