martedì 17 febbraio 2009

Al cittadino non far sapere

Nell’ormai fragoroso e oltremodo abituale silenzio che accompagna i provvedimenti in materia di giustizia da parte del Governo (salvo poi risvegliarsi di colpo dal torpore per portare in piazza senatori prossimi centenari), sta per essere varata la nuova legge sulle intercettazioni.
Il testo del DdL pone seri interrogativi su due fronti: magistratura ed informazione ma, andiamo con ordine.
Tra le “innovazioni” riguardo l’uso delle intercettazioni da parte dei magistrati, vi sono dei punti significativi circa le reali intenzioni della legge in questione.

Ai Pubblici Ministeri sarà concesso intercettare dei sospetti per un massimo di 60 giorni; per cui se durante il 60esimo giorno un sequestratore annuncerà per telefono a un collega che l’indomani gli dirà dove ha nascosto il bambino sequestrato, alla mezzanotte il P.M. dovrà in ogni caso staccare la spina, e arrivederci al piccolo.
Altra limitazione riguarda i reati da poter perseguire mediante l’impiego delle intercettazioni, in altre parole i reati che implicano pene superiori ai 10 anni (esclusi quindi i reati finanziari, delle banche, puniti con circa 3/4 anni di carcere) e i reati attinenti il terrorismo e l’associazione mafiosa.
Bene (si fa per dire), come se il mafioso si professasse tale dal primo giorno in cui decidesse di cominciare a delinquere; è noto infatti, come si parta sempre dall’accertamento di reati puniti con pene inferiori ai 10 anni (furto, stupro, rapina ecc.) per poi ripercorrere la “carriera” di tali individui ed eventualmente risalire al loro ruolo all’interno di associazioni mafiose.
Purtroppo se si parte indagando su una rapina non si potrà intercettare il telefono del ladro (perché il furto è un reato passibile di una pena inferiore al limite dei 10 anni), ergo sarà impossibile arrivare a una sua possibile implicazione in associazioni mafiose intercettandolo.
Infine ecco la ciliegina sulla torta: è introdotto un limite di budget economico a disposizione dei P.M. per intercettare. Che cosa vuol dire? Significa che se si sta intercettando un sospetto e finiscono i soldi a disposizione della procura, si dovrà staccare tutto magari informando gentilmente il delinquente che potrà continuare a fare il suo mestiere fino allo stanziamento del nuovo budget previsto per l’anno successivo. Follie su follie, e si parla solo della magistratura.
Perché se analizziamo i provvedimenti a carico della stampa, c’è da stupirsi davvero (se ancora ci si riesce).
Sarà vietato agli editori di far pubblicare sui propri giornali stralci, riassunti, parti o intere intercettazioni fino all’inizio del processo (in genere 4 anni dopo l’inizio delle indagini), anche se ormai pubbliche perché in possesso degli avvocati di accusa e difesa. In caso di trasgressioni saranno previste pene pecuniarie. Insomma si svuota il portafogli degli editori, per chiudere la bocca ai giornalisti. Tutto in nome della privacy.
Come se non si sapesse che gli atti (e le intercettazioni) coperti da segreto già oggi non si possono pubblicare con pene già previste per i disobbedienti.
Ciò che si è letto finora su Calciopoli, sui “furbetti del quartierino”, sulle cliniche-macellerie erano intercettazioni non coperte da segreto istruttorio (tranne poche deprecabili eccezioni), dunque pubbliche e pubblicabili.
Come si vede la privacy è un puro pretesto, utile solo a solleticare paure e agitare folle.
Il vero progetto di questa nuova legge è nascondere agli occhi della pubblica opinione ogni barlume di verità sgusciato finora dai tribunali e pubblicato sui giornali prima del dibattimento processuale.
Mentre dall’altro lato, si sta tentando di rendere inservibile lo strumento delle intercettazioni ai magistrati, col solo scopo di complicargli il lavoro d’indagine.
Le censure dell’A.N.M. (sindacato dei giudici), ma soprattutto la reazione sdegnata e fortemente contraria alla legge da parte del Consiglio Superiore della Magistratura, dovrebbero suggerire qualcosa.
Tutto ciò con le controindicazioni del caso: se sapremo solo alla conclusione delle indagini che nella banca X usavano i risparmi della gente in modo “disinvolto”, fino alla data del processo, ignari di tutto, porteremo ugualmente i nostri risparmi al sicuro (si fa per dire). Oppure andremo lo stesso a curarci in quella clinica vicino Roma (la Santa Rosa) ignari delle conseguenze fisiche su di noi. Se all’apertura delle indagini invece, fosse pubblicato un breve resoconto sui giornali, faremmo lo stesso quel ricovero in quella clinica della Capitale?

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