martedì 22 marzo 2011

Wikileaks, ovvero l'eterna lotta tra politica e informazione

anche su  il Futurista e su AgoràVox 

«La stampa fu protetta nella Costituzione, affinchè potesse rivelare i segreti del governo ed informare il popolo», scriveva il giudice della Suprema Corte americana Hugo Black, nel 1971. Aveva appena assolto da ogni imputazione il New York Times per aver pubblicato i “Pentagon Papers”, 47 volumi di documenti che raccontavano degli insuccessi, dei morti civili e delle fallite strategie di guerra degli USA in Vietnam nel 1968. Tutto ciò che era stato tenuto nascosto alla popolazione americana, venne alla luce attraverso la pubblicazione di questi documenti; la Giustizia americana ne difese la pubblicazione, in nome del diritto del popolo a conoscere le vicende riguardanti il proprio Governo. Quaranta anni dopo, nel 2011, ...
... la pubblicazione dei cablogrammi riservati delle diplomazie europee e statunitensi da parte di Wikileaks, ha portato una scia di polemiche da cui non ne usciremo fin quando Julian Assange, il fondatore del sito, non verrà messo a tacere. Per aver semplicemente sbugiardato gli impomatati diplomatici che pensavano (e annotavano) delle cose, ma ne dicevano pubblicamente delle altre, Assange è costretto a fuggire e cambiare alloggio con l’assiduità di un camionista.
Naturalmente, il ruolo degli ambasciatori esteri è quello di rendere una fotografia quanto più fedele possibile del paese in cui sono inviati, al proprio Stato di appartenenza. Il tutto cercando di mantenere buoni rapporti con lo stato ospitante. Un lavoro diplomatico insomma, fare gli interessi del proprio Stato in terra straniera e senza rompere i rapporti tra le parti.
È per questo che lo smascheramento delle verità ufficiali compiuto da Wikileaks, ha suscitato reazioni degne dei più recenti regimi dittatoriali, da parte delle istituzioni democratiche occidentali (Stati, Presidenti, Ambasciatori, Ministri). Guardacaso sono spuntate due donne che accusano Assange di violenza sessuale, come se qualora fosse appurato questo reato, le rivelazioni di Wikileaks perderebbero qualche grado di autenticità. Il fatto che Assange abbia violentato o meno delle donne, non cancella i rapporti che scriveva l’ambasciatore USA in Italia (nominato da Bush) al Presidente Obama.
Rapporti segreti e cifrati, in cui l’ambasciatore (e non Assange o Wikileaks) scriveva dei festini di Berlusconi, delle amicizie intime del Premier col dittatore Gheddafi, della bassa credibilità dell’Italia all’estero. Rapporti quantomeno contrastanti con le conferenze stampa in cui l’amicizia tra Italia e USA veniva ribadita e rinsaldata continuamente dalle stesse persone, che poi appuntavano con dovizia particolari tenuti segreti poiché impronunciabili pubblicamente. L’aver svelato questo tipo di segreti ha messo la vita di Assange in grave pericolo, anche se gli Stati Uniti non ne hanno mai potuto chiedere l’arresto. Ministri italiani e non, hanno gridato al golpe, al furto di documenti segreti, alla pubblicazione illegale di atti privati, tentando invano di scalfire l’immagine pubblica di Julian Assange.
Neanche la minaccia paventata da più parti, della vulnerabilità alla quale sarebbero stati esposti i Paesi a causa della pubblicazione degli atti, ha potuto frenare la sete di informazione e la curiosità sui documenti secretati. Più sondaggi hanno dimostrato che la credibilità di Assange e Wikileaks non è scesa di molto, neanche dopo le presunte violenze addebitategli.
Negli anni ‘70 come nel XXI secolo, la giustizia ha cercato di garantire la libertà di informazione dell’opinione pubblica, mentre la politica e il governo hanno provato a raccontarle una verità ufficiale e parallela, per  essere costretti più tardi a confutare la realtà contenuta nei documenti riservati. Peraltro senza successo, come dimostrato da queste due vicende così simili, seppure lontane.
Poiché si trattò allora come oggi di documenti autentici, firmati da funzionari dello Stato e quindi inattaccabili dal punto di vista della veridicità, le medesime e sempre attuali reazioni scomposte dei governi sono sintomatiche soltanto dell’imbarazzo che dominerà i prossimi vertici internazionali. Dove diplomatici di stati diversi, col sorriso in bocca e la giusta parola sempre pronta, cercheranno di ricucire rapporti incrinati dalle rivelazioni della spia-Assange. La sensazione è però che l’individuazione del nemico comune, non servirà che a lenire le ferite causate dallo squarcio aperto da Wikileaks tra le pieghe delle sempreverdi ipocrisie istituzionali e diplomatiche.

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