mercoledì 27 gennaio 2010

“Anfitrione” e “Casina”: analogie e differenze



Dopo un attento tentativo di confronto tra le due commedie del “poeta latrante” Plauto, la “Casina” e l’ “Anfitrione”, proviamo qui a cercare gli elementi che legano le due messinscene latine.
Anticipiamo subito che le differenze emerse dal raffronto sono in maggioranza rispetto al numero delle analogie, ciò dovuto alla probabile distanza temporale delle rappresentazioni in scena delle due commedie (la datazione della “prima” di Anfitrione è il 206 a.C., mentre Casina risale al 186 a.C.).


Cominciamo perciò con la prima significativa differenza che qualifica l’Anfitrione: la presenza della divinità, parte attiva nel gioco comico.
Giove che si innamora di una mortale, Alcmena moglie del generale dell’esercito Anfitrione, rappresenta una novità epocale nel campo della commedia perché la presenza degli Dei era consueta solo nelle tragedie. L’Anfitrione quindi segna uno spartiacque nella commedia latina.
Ad ogni modo la divinità che si invaghisce di una donna “terrena” e per conquistarla usa il suo potere indisponibile agli altri commedianti, non per questo si rende invulnerabile anche alla sua coscienza.
 In altre parole, pur riuscendo a prendersi gioco di tutti per raggiungere il suo scopo amoroso, giovandosi dei suoi poteri esclusivi, Giove cerca di rimediare alla doppia gravidanza della donna facendole sopportare un unico travaglio e porge le scuse al marito per le sue azioni passate.
Sembra quasi che il Deus ex-machina calatosi dall’alto sia costretto a snaturare le proprie parvenze divine per cercare di assomigliare agli umani che ha ingannato, dovendo rendere loro conto del suo comportamento.
Cerca di sembrare più umano per chiedere scusa al marito e saldare il conto con la propria coscienza prendendosi le sue responsabilità. Al contrario, nella Casina l’elemento divino non c’è.
Altro motivo discriminante tra le due commedie è la diversa rappresentazione della figura femminile: la Cleostrata della Casina è parte attiva della commedia, decide su se stessa e riesce a vendicarsi abilmente del marito fedifrago.
L’Alcmena dell’Anfitrione mette in risalto una figura femminile di secondo piano, una donna ingannata da Giove e in balia dello stesso.
Certamente la figura divina altera il piano della commedia e probabilmente costituisce una scusante per la moglie di Anfitrione che non poteva immaginare di essere davanti ad un’altra persona, se è vero che le sembianze assunte da Giove erano quelle del marito.
Considerando la probabile scansione temporale delle due commedie, sarà forse vero che la Casina (186 a.C.) rappresenta una maturazione della concezione della donna rispetto alla rappresentazione della stessa nell’Anfitrione (206 a.C.) da parte dell’autore?


Ultimo motivo di scarto tra le due commedie è la funzione del servo all’interno del canovaccio comico.
Nella Casina la funzione del “servo furbo” viene assolta da Calino che, sposo designato di Casina per conto del figlio di Lisidamo e della moglie Cleostrata, riesce a prendersi gioco del vecchio pruriginoso.
Infatti, sfortunato nel sorteggio per l’assegnazione di Casina, toccata ad Olimpione/Lisidamo, si accorda con Cleostrata travestendosi da Casina per passare la prima notte in compagnia di Olimpione e poi di Lisidamo. Così costringe il vecchio e il suo servo alla vergogna pubblica.
Nell’Anfitrione i servi (Mercurio/Sosia e Sosia/Sosia) non svolgono un ruolo pensante, in grado di ribaltare gli equilibri in scena.
Si limitano anzi, ad assolvere ai compiti assegnati loro dal padrone (Giove e Anfitrione) per difendere esclusivamente la propria figura. Insomma, non contano molto, non prendono decisioni.
Fin qui le differenze tra le due commedie plautine.

Analogie

Abbiamo già trattato la funzione del servo all’interno della Casina e dell’Anfitrione trovando nel comportamento di Calino un tratto dirimente rispetto ai servi dell’Anfitrione.
Si può però trovare anche un punto di contatto sempre all’interno della figura del servo.
In entrambe le commedie i servi rappresentano sempre e comunque l’ oggetto fedele del padrone, lo strumento in grado di perseguire gli interessi padronali.
Bisogna evidentemente  parlare di “oggetto” e non di persona, dato che il diritto di critica da parte dei servi nelle commedie verso il padrone non è neanche accennato.
Al contrario tutte le figure dei servitori sono accomunabili dal grande senso del dovere nei confronti del proprio padrone, in grado di disporre della loro vita in qualunque momento e in qualsiasi modo.
Tale facoltà è ben accettata dai vari Sosia e Mercurio, ma anche da Calino e Olimpione in Casina.
La fedeltà del servo verso il suo padrone è qualcosa che va aldilà del patto di servitù non firmato tra i due, quasi un’anticipazione della Sindrome di Stoccolma che lega al giorno d’oggi aguzzini e sfruttati dopo un periodo di rapporti intercorsi.

Secondo ed ultimo punto d’incontro emerso nel confronto è il sorteggio, il tirare a sorte per assegnare beni o persone, come nel nostro caso.
L’affidamento alla fortuna, dopo aver compiuto le giuste invocazioni e preghiere agli Dèi protettori, è un tratto comune alle due commedie.
Quando nell’Anfitrione i protagonisti si trovano a dover decidere sull’autenticità del vero generale Anfitrione, viene chiamato un arbitro esterno come Blefarone per dirimere la faccenda e assegnare l’identità ai due contendenti Giove/Anfitrione e Anfitrione “vero”.
Alcmena è stata ingannata dalle medesime sembianze di Giove, trasformatosi nel marito Anfitrione.
Perciò lei non sa più decidere chi è il suo vero marito, né i due “aspiranti” riescono a battere le giuste strade del convincimento. 
I problemi però non finiscono qui perché Blefarone rimane confuso dalla vicenda e si rifiuta di ripristinare la verità, sentendosi inadatto al ruolo.
In Casina la scena del sorteggio si palesa in occasione dell’assegnazione della giovane al suo futuro marito-specchio. Perché marito-specchio?
In ogni caso, il marito che toccherà in sorte alla fanciulla sarà solo la proiezione di facciata dei due veri pretendenti: il vecchio Lisidamo e suo figlio (peraltro perennemente assente dalla scena e rappresentato negli interessi dalla madre Cleostrata).
Alla fine Cleostrata estrarrà il nome di Olimpione a cui verrà assegnata la fanciulla, per la gioia malcelata del marito Lisidamo.








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