venerdì 7 novembre 2008

Qui niente è impossibile


Il 4 novembre 2008 è una data che passerà alla storia.
Non è retorica , ma è la semplice constatazione che è avvenuto un cambiamento storico.
Non è possibile fare a meno di notare che con l’elezione di Barack Obama a Presidente degli Stati Uniti d’America si è abbattuto uno degli storici tabù sociali, quello razziale: essendo infatti il primo Presidente nero della storia, è essenziale marcare il segno sul colore della pelle essendo la prima volta che avviene ciò. Quando si ripeterà con una certa regolarità, allora si potrà fare anche a meno di mettere l’accento sul fattore razziale. Per ora no, bisogna farlo.
Come detto quindi, proprio il motivo razziale deve aver spinto buona parte degli elettori a votare per lui.
Una sorta di riscatto collettivo per una comunità, quella dei neri d’America, da sempre bistrattata e solo da qualche decennio al centro della vita sociale. Obama ha saputo incarnare il diffuso risentimento di quella parte della società americana che arrivò sul suolo statunitense 400 anni fa incatenata come bestie.
Come ricordava ieri Vittorio Zucconi, editorialista di Repubblica, Obama diventerà il padrone di casa di quella Casa Bianca costruita 200 anni fa dai suoi antenati neri per accogliere intere generazioni di presidenti bianchi. Ora no, ora le cose sono cambiate. Sarà un Presidente nero ad accogliere Capi di Stato e delegati di paesi stranieri per decidere assieme le decisioni sul futuro del mondo.
Accanto al motivo razziale vi è senz’altro la crisi finanziaria ad aver accelerato l’ascesa di Obama.
Il nuovo Presidente ha saputo incarnare il sentimento diffuso nella maggior parte dei cittadini americani di odio e riscatto verso l’elite finanziaria, i grandi manager delle grandi banche arrichitesi a dismisura sulle spalle dei lavoratori dipendenti sempre più sull’orlo del baratro.
Le proposte di Obama sono fortemente mirate a tracciare un filo di discontinuità con le politiche di Bush.
Politiche che hanno portato buona parte dei cittadini americani a perdere il posto di lavoro e a non riuscire a pagare più le rate dei mutui salite ben al di sopra delle loro possibilità economiche ma, ad avere la possibilità di poter possedere ognuno un’arma propria, perché a costo di questa libertà l’americano medio è disposto a pagare qualsiasi prezzo.
Affianco a tutto ciò, manager con stipendi sempre più alti frutto di speculazioni senza freni in Borsa, derivanti dalle politiche di “deregulation”, del mercato lasciato libero di autoregolamentarsi mentre si allargava a dismisura la forbice di ricchezza tra ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri.
Una crisi questa, che si sta allargando a macchia d’olio anche in Europa e anche all’economia “reale”, che non riguarda più solo quella “virtuale” in Borsa. Perché se le aziende quotate perdono denaro investito a “vuoto”, poi sono costrette a ripescare quel denaro perso tagliando stipendi, posti di lavoro. E se aumenta la disoccupazione si riducono i consumi perché la gente non ha più soldi da spendere, diminuisce la domanda e quindi la produzione e l’economia dei paesi non cresce.
Questa è la più grande sfida del nuovo Presidente. Far ripartire l’economia e ridare il “sogno” agli americani.
Il “sogno” di poter sempre sperare di realizzare qualcosa di importante partendo da zero e puntando solo ed esclusivamente sulle proprie capacità, come è scritto sulla biografia di Obama, cresciuto senza genitori, ma capace di laurearsi sfruttando tutte le possibilità che un grande paese come l’America offre a chi ha voglia di fare.
Un altro grande “uomo del fare” italiano, che va in giro fregiandosi di parlare a nome di tutti gli italiani ha accolto l’elezione di Obama con un bel “complimento”: “ E’ giovane, bello e abbronzato ”.
Bene, io non mi sento rappresentato da una persona che dice queste cose ed è l’immagine italiana nel mondo. Io non penso queste cose e non le pensano almeno altri 1200 italiani.
Un altro affiliato al club italiano “del fare” ha pensato bene di non smentire, né scusarsi dopo aver detto che “Al Queda sarà più contenta se Obama verrà eletto”, soltanto perché McCain rappresenterebbe meglio l’ideale di un Presidente-poliziotto, essendo stato soldato in Vietnam, capace di combattere efficacemente il terrorismo.
Non credo ci sia bisogno di commentare tali affermazioni anzi voglio porre l’accento davvero sul personaggio McCain. Dopo la sconfitta elettorale ha ribadito di fronte ai suoi stessi elettori e alla Nazione intera che “Obama è stato più bravo di me. Obama è il mio Presidente, il presidente di tutti”.
Questa è la vera immagine dell’uomo McCain, non quella distorta data da qualche rappresentante del club sopracitato. Club che si affanna a dire in queste ore che bisogna aspettare Obama al varco, vederlo di fronte alle prime difficoltà, che deve mantenere le promesse fatte.
Lui (Obama) dice che nulla è impossibile. Che tutto si può fare. Yes, we can.

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