Mercoledì
pomeriggio, orario postprandiale, studio scintillante, all’apparenza ben poco
avvezzo a fatti di sangue, e dichiaratamente lontano dalla pratica del
cosiddetto racconto morboso di fatti di cronaca. Eppure proprio lì, al Cristina Parodi Live, su La7, va in scena la storia di Luigi Bonaventura,
pentito di ‘ndrangheta che si sente tradito dallo Stato.
Come
per evitare di cadere in tentazione, si fa subito a meno di avere ...
il mostro in
studio, e il racconto della vicenda si sposta direttamente a casa sua, località
protetta per definizione. Bonaventura è infatti un ex boss, designato a
raccogliere l’eredità del padre, capo-cosca di Crotone. Dopo essere cresciuto
nell’ambiente che tutti possiamo immaginare, ed essersi macchiato di qualche
omicidio, decide di cambiare vita.
Ma
alla ‘ndrangheta non si rassegnano le dimissioni, e il padre non la prende
bene. I due hanno addirittura uno scontro a fuoco, dal quale il figlio capisce
che è meglio fuggire, per cercare comprensione altrove, negli uffici di ben due
procure. Queste gli credono, gli assegnano una scorta, e lo mandano in una
località protetta, tale almeno fino a quando lui stesso si rende conto di
essere circondato da vecchie conoscenze, non più gradite.
“Sanno
tutti dove mi trovo e temo per i miei figli, ai quali volevo e voglio dare ancora
un futuro diverso”, dice Bonaventura ad un inviato senza volto né nome. La sua
voce, che si incrocia solo con quella della moglie Paola, non lasciano spazio
alle domande del giornalista. La scelta pare quando mai azzeccata, e pur non
volendo ripetere la retorica de “i fatti parlano da soli”, la storia del
pentito in fuga dal suo passato non sembra richiedere davvero la presenza esplicita
del botta e risposta.
La
voce fuori campo che, come accade di solito, andrebbe a riallacciare i fili
della testimonianza raccolta, qui non c’è, e ne beneficia il ritmo del
racconto, spezzato soltanto dall’inevitabile emozione suscitata nello spettatore
da espressioni come questa:”Come si possono fare i complimenti al proprio
figlio, che ritorna dopo aver compiuto il suo primo omicidio? Ecco, questo è
successo a me”.
Così,
a prescindere dalla legittima opinione che ognuno di noi può formarsi ascoltando
un ex assassino ora pentito, bisogna riconoscere che Parodi Live è riuscito ad
affrontare dinamiche mafiose e fatti di sangue, durante un tranquillo
pomeriggio di metà settimana, senza urla, processi alle intenzioni, e minute
analisi che al cospetto, sembrano ormai aver fatto il loro tempo. Per giunta,
adoperando un viatico risoluto, quanto difficile da maneggiare: il racconto
diretto, senza mediazione esplicita del giornalista, qui assente, ma certamente
autore del collage di dichiarazioni registrate.
È stato un lampo che ha
presagito un tuono, oppure si tornerà indietro al tradizionale dibattito in
studio tra esperti e opinionisti, divisi finanche dalla quantità di globuli
rossi contenuti nella goccia di sangue, rinvenuta sulla scena del crimine di turno?
Quale delle due tipologie di racconto preferite? Esistono o no dei rischi, a
mettere un microfono sotto il naso di un pentito, lasciandolo libero di
raccontarsi?
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